Sono partito. Era anni che desideravo visitare questi luoghi, poi tra una cose e l’altra non ci sono mai riuscito. Ma adesso sono partito.
Ho deciso di visitare gli alpeggi dell’alta Val Gerola. Le storie meravigliose dei dei casari eroici che vivono in alta montagna e che fanno il formaggio in luoghi incredibili vanno viste e raccontate da loro, sul posto. Capire, vedere, vivere con loro le reali difficoltà che questi mandriani e casari affrontano giornalmente sugli alpeggi.
Oggi
Sto percorrendo la carraia, che dall’Alpe di Trona Soliva conduce all’Alpe Trona Vaga, in leggera discesa in mezzo a pascoli che stanno ingiallendo. La giornata è molto calda e sono giunto qui dal piccolo borgo di Laveggiolo.
Mi sono fermato alla prima delle due casere e ho parlato con il “costruttore” di formaggio, il Bitto Dop, nella baita, in quella piccolissima camera attrezzata, dove, nel paiolo di rame, sta per affiorare la ricotta.
Le vacche sono lontane, le si intravedono in quel vallone lassù, a quota sicuramente ben superiore ai 2000 metri, dove questa sera il giovane andrà per la mungitura. Un’avventura faticosa che si ripete tutti i giorni qualsiasi sia la stagione, ovviamente.
In questi due giorni ho deciso di percorrere il più possibile le vie delle vacche, ma soprattutto quelle degli uomini e delle donne che dedicano la loro vita all’allevamento e alla produzioni del formaggio, che in questi alpeggi è da latte intero, quindi grasso.
Ieri
Ho dedicato la giornata a percorrere i sentieri prevalentemente boschivi sul versante sinistro del torrente Bitto, ma a quelle quote dove i pascoli emergono dal bosco. Partito dalla località Ciani mi sono inerpicato per raggiungere l’Alpe Grasso la cui casera è abbandonata e in seguito l’Alpe Combana.
Qui la vita è attiva, si fa in formaggio. Le poche vacche di razza Bruna Alpina (l’originaria) e le capre di razza Orobica, Presidio Slow Food, pascolano su un territorio tipico di queste montagne, erba e sassi, tanti sassi spesso raccolti a formare muretti a secco o accumulati un pò in qua e un pò in là o sfruttati per costruire i classici calécc.
Mentre salgo alla casera, l’uomo che mi vede arrivare sta stendendo, per asciugarlo, il telo di lino con il quale, il giorno prima, aveva raccolto la cagliata. Un gesto tipico dei luoghi dove si produce un formaggio che successivamente alla sua estrazione dal paiolo, viene pressato.
Gli chiedo se posso fare alcune fotografie e mentre parliamo arriva, con una rombante motocicletta, il titolare dell’azienda, Giovanni, che con enfasi mi racconta della sua esperienza all’Alpe. Il formaggio che qui si produce è il Grasso d’Alpe misto, ovviamente da latte vaccino e caprino.
Questi alpeggi sono irraggiungibili da mezzi a 4 ruote, solo con la motocicletta o a piedi. Sono lontani dalle vie carrabili, ho impiegato 1 ora e 20 minuti, di buon passo lungo un sentiero spesso in costa con scoscesi precipizi, per raggiungere la casera.
Visito la “camera” dove sono in bella mostra i grandi formaggi ben tenuti, puliti, profumano, i cui tenori ambientali sono regolati esclusivamente da piccole finestrelle sui muri di pietra.
Saluto gli uomini, li ringrazio per le cortesi informazioni e riprendo il percorso. La giornata sarà ancora lunga.
Cammino, mi fermo solo per fotografare, per lunghi sentieri fino a Casera Combanina dove non c’è nessuno. Oltrepasso un’altra baita inutilizzata fino a quando raggiungo una mandria. Qui le vacche sono tante, di diverse razze, Bruna alpina e Pezzata rossa, che in quel momento sono radunate e chiuse da un lungo recinto elettrificato. La maggior parte di loro rumina. Oltre la mandria e al di là di un ruscello, intravedo il carro di mungitura, un’attrezzatura capace di lavorare grazie a un generatore di corrente posto a lato. Salgo per un ripido ma breve sentiero coperto da larici e giungo alla Baita Ven. Due uomini sono all’interno, stanno mangiando. Ammiro un vitello di pochi giorni tranquillo riposa all’interno di un piccolissimo recinto di legno accanto alla porta della baita e poi mi dirigo al vicino calécc con estremo interesse. Avevo visto spesso immagini del calécc ma osservarlo dal vivo è un’esperienza che, nonostante i miei innumerevoli viaggi tra gli alpeggi, non potrò dimenticare. Questi muri a secco non più alti di un metro, il palo di legno centrale appoggiato a pilasti fatti sempre con sasso posato a secco che sostiene un telone. All’interno del calécc ci sono le attrezzature minimaliste e il focolare composto da una lamiera di ferro accostata a pietre proprio nell’angolo estremo della struttura. In quel momento non c’era nessuno e, zoomando, ho fotografato il paiolo di rame e le forme (fuscelle) entro le quali c’era la ricotta. Che meraviglia!
Mi fermo accanto al calécc, all’ombra di un grande larice, luogo ideale per rifocillarsi. Nel frattempo, dalla baita Ven esce un giovane che armato di motocicletta passa, mi saluta e prosegue verso il basso. Incontrerò successivamente quel giovane all’Alpe Culino dove visionerò i suoi formaggi in stagionatura. Quel formaggio che il mattino successivo ho acquistato presso il Rifugio Bar Bianco.
Oggi
Ho lasciato l’Alpe Trona Soliva. Scendo per la carraia e dopo un quarto d’ora giungo all’Alpe Trona Vaga. Il panorama è mozzafiato di fronte a me la diga del lago di Trona con i fabbricatici e la diga che non fanno un gran belvedere, ma è sufficiente alzare un attimo lo sguardo per osservare le montagne che circondano la vallata. È l’abbaiare di un cane che mi informa d’essere arrivato. Sta all’interno di un recinto elettrificato a guardia di un piccolo gregge di capre. Nei pressi, da una grande fontana sgorga una grande quantità di acqua che bevo immediatamente.
Anche in quest’Alpe gli allevatori che monticano sono davvero giovani. Qui, all’Alpe Trona Vaga si produce lo Storico Ribelle, un formaggio fatto solo latte e caglio. Mi sarebbe piaciuto acquistare un pò di formaggio, ma il tempo di maturazione non è ancora concluso. Peccato.
Anche oggi è caldo, il cielo è leggermente velato ma non c’è il rischio di pioggia. Queste montagne “selvagge”, il colore della roccia grigio scuro sembra non aver preso abbastanza sole, mi incupiscono, ma nello stesso tempo mi affascinano. Intervallate da enormi pascoli che impediscono la totale visuale, sono a dimostrare che chiunque decida di trascorrere anche solo l’estate a lavorare con le mandrie, è davvero uno stoico eroe.
Nel riprendere momentaneamente la via già calpestata incontro qualche escursionista che sale dirigendosi forse ai due rifugi di quelle montagne. Pare che non si preoccupino di osservare ciò che li circonda, parlano fra loro di cose di casa, di paese di città. Non si accorgono che qui le parole non servono, qui la natura è tutelata dall’uomo della montagna dalle sue maestranze, dal suo camminare, e dal suo lavoro, e va colta, vissuta.
Il giro degli alpeggi non è terminato, voglio visitare anche Alpe Valvedrana che però non trovo sulle mappe che solitamente porto con me. Non so dove si trova, raccolgo solo le indicazioni stampate su un cartello all’Alpe Trona Soliva ma non so come arrivarci. Scelgo la via per esclusione e dopo un’ora di saliscendi arrivo a una baita, piuttosto vicina, tra l’altro, al punto dove ho lasciato la macchina. È proprio Valvedrana. Nel mentre sto fotografando arriva un pick-up. Sono padre e figlio, i gestori, che con cauto silenzio mi accolgono.
Le due giornate di escursionismo tra alpeggi stanno terminando. I mie occhi e la mia mente sono carichi di immagini in movimento. Il lavoro degli uomini dell’Alpe, le loro maestranza, il vento che fa oscillare le cime dei larici e l’erba che oggi sta ingiallendo, segnale che a fine agosto la monticazione sarà terminata. Il cielo prima azzurro e poi velato, il sole che scalda e l’ombra che raffresca, le acque dei ruscelli che ho oltrepassato e i paioli di rame lucidissimo dentro i calécc. E poi i formaggi, si il formaggio che esce dal paiolo e dopo la pressatura effettuata semplicemente appoggiando sulle forme pesanti pietre e i teli che vengono posti al sole ad asciugare. Immagini che le favole possono raccontare ma che oggi racconto anch’io.
Sto scendendo gli ultimi passi verso il termine del mio andare per alpeggi, osservo le ultime immagini all’interno del bosco, i funghi, gli aghi secchi degli abeti e i sassi lungo il sentiero. La Val Gerola, mi ha lasciato il segno così come il movimento delle mani dei “costruttori” di formaggi che assaggerò con estremo interesse per carpirne le caratteristiche.