Vino e formaggio, un abbinamento vincente, ma non scriverò di questo, scriverò delle differenze sostanziali desumibili dall’osservazione dei due prodotti. Come si può paragonare il vino al formaggio? In effetti non si può ma si può riflettere sulle informazioni che i rispettivi stabilimenti di produzione (cantine e caseifici) propongono al consumatore.
Il vino
Chi acquista una bottiglia di vino, o la trova già pronta all’uso sulla tavola, presta sicuramente la dovuta attenzione all’etichetta, spesso risultato di un studio che ne ha ideato il cromatismo e le parole stampate. La denominazione del vino è riportata nell’etichetta principale sulla quale, solitamente, non appaiono altre notizie che invece sono stampate nella seconda etichetta, la zona di origine, il produttore, le informazioni sul vitigno, i gradi alcolici e, spesso anche i suggerimenti relativi agli eventuali abbinamenti.
In poche parole il vignaiolo presenta il vino descrivendolo, anche se brevemente, tramite l’esposizione delle sue più importanti caratteristiche.
E siccome in Italia siamo tutti intenditori (non me ne vogliano i veri intenditori) tutte le informazioni, anche quelle di significato sensoriale, sono apprezzate. Esse formano e informano. L’etichetta quindi non è solo carta stampata che abbellisce la bottiglia, ma un veicolo per giungere al consumatore che della sua lettura ne fa immediata conoscenza del prodotto.
Ebbene si, bravi i produttori di vino perché hanno capito che il frutto del loro lavoro deve essere conosciuto per essere pienamente apprezzato. Se volessimo trasferire il sapere del vignaiolo al sapere del casaro o di chi per lui, sarebbe davvero un’improba azione.
Il formaggio
Alimento importantissimo consumato dalla quasi totalità degli italiani che, spesso, non hanno la più pallida idea di cosa mettono sotto i denti. E qui viene il bello (o il brutto). Il formaggio si acquista al banco del taglio, dove il banconiere lo porziona e lo confeziona (lo incarta), azione necessaria ma assolutamente deprimente, sigillandone l’involucro con nastro adesivo, il classico scotch, o con l’etichette prestampata dalla bilancia elettronica, sulla quale, spesso abbreviato, vi è il nome del formaggio. Per esempio, Parmreg20, €/kg… prezzo €… Punto e basta. L’acquirente, il consumatore, una volta a casa deve scartare il pacchetto per ricordare cosa ha acquistato faticando a leggere il nome del formaggio sull’etichetta. E’ banale dirlo ma ciò non ha nulla a che vedere con l’etichetta incollata alla bottiglia di vino.
La questione non cambia qualora il consumatore acquisti il formaggio presso lo spaccio aziendale di un caseificio. Il prodotto è visibile nel banco frigo e la sua denominazione, quando manca l’etichetta, è scritta, spesso anche malamente, su un cartellino. Capita che dopo l’acquisto di due o tre porzioni di formaggi, il consumatore, una volta a casa, non riconosca più un formaggio dall’altro e tanto meno le sue caratteristiche che il venditore, nella maggior parte dei casi, non ha fornito
Quanta disinformazione!
Il povero formaggio, anche se eccellente, viene dimenticato, banalizzato, perché colui che lo assaggia non sa neppure da quale specie di animale proviene il latte. Ciò non capita, se ci rechiamo in una cantina. Troviamo sempre, e ripeto, sempre, qualcuno che si occupa dell’accoglienza, capace di esporre i vini prodotti. In tanti spacci aziendali dei caseifici, si ignora perfino di informare il consumatore dell’origine e della composizione del latte, se intero o parzialmente scremato, del tempo di stagionatura, e di tutte quelle notizie che il cantiniere non tralascerebbe mai.
Se per il vino l’evoluzione culturale è stata ed è oggi la capacità di far conoscere il proprio prodotto, per il formaggio questa evoluzione non è ancora iniziata. Naturalmente non generalizzo, esistono situazioni in cui il venditore, il casaro, sono consapevoli che i loro prodotti devono essere conosciuti e riconosciuti, e vi mettono tutto l’impegno necessario affinché ciò avvenga. Ma sono pronto a scommettere che, soprattutto nelle piccole realtà, nella maggioranza dei casi il prodotto caseario è solo merce di scambio, formaggio-denaro.
Recentemente mi è capitato di leggere una locandina postata in FB da chi si occupa di degustazione di formaggi, quindi da esperti del settore, che reclamizzava un evento davvero interessante. Sulla locandina si citavano 4 formaggi in assaggio dei quali l’unica informazione era il loro nome, e 4 vini le cui informazioni erano assolutamente complete di, denominazione, riferimento alla cantina, ed altre note utili. Poveri formaggi, nemmeno la provenienza. Ma se la degustazione ha come protagonista il formaggio, perché onorare solo il vino? Peccato, il formaggio viene continuamente e irrispettosamente ignorato anche nelle sue più evidenti caratteristiche.
E’ un invito quindi, rivolto a chi produce formaggi e a chi li commercializza e a chi li vende personalmente, quello di consegnare al consumatore il frutto del faticoso lavoro dell’allevatore e del casaro, sempre con le giuste informazioni e, se non le si conosce a fondo, è bene che si prepari adeguatamente. La vendita di un formaggio deve comprendere un po’ di cultura, magari, se il tempo lo consente, una breve storia, o meglio un approfondimento sulle tecniche di produzione. Mai però devono mancare le informazioni sulla composizione del formaggio e perché no un po’ di caratteristiche organolettiche. Ma, se il tempo è tiranno sarebbe sufficiente invitare il consumatore a consultare la scheda descrittiva del formaggio, che mi auguro sia sempre presente soprattutto negli spacci aziendali.
Ebbene si, l’acquisto di un formaggio deve essere preceduto dalla sua conoscenza senza la quale non c’è pieno apprezzamento da parte del consumatore, e non c’è la necessaria soddisfazione del produttore.
Condivido quanto hai evidenziato, le informazioni sono veramente poche.
Condivido pienamente!
L’abbinamento vino/formaggio deve essere paritario, mettendo in risalto anche le caratteristiche di quest’ultimo