La primavera di formaggi
Il nostro Paese è conosciuto nel mondo per i tanti prodotti dell’agro alimentare che identificano i territori, tanto diversi tra loro, sia dal punto di vista climatico che morfologico. Si potrebbe pensare proprio il contrario, ovvero che il territorio identifica il prodotto, ma non è così, almeno per il formaggio, che è, senza ombra di dubbio, il più rappresentativo, perché conserva e sprigiona, nei suoi più svariati aspetti organolettici, tutte le caratteristiche intrinseche del luogo di origine.
Aspetti che nascono dalle condizioni degli animali che producono il latte e soprattutto dal genere e dalla razza che, spesso, lascia la sua impronta genetica nel formaggio.
Non è sempre facile capire, dall’assaggio, se il formaggio deriva da latte di vacca o di pecora oppure di altro animale, ma certamente, dopo averlo lasciato maturare, le sue caratteristiche chimiche e fisiche muteranno al punto che il consumatore sarà in grado di comprendere meglio le sensazioni animali derivanti dal latte, soprattutto se lavorato crudo, utilizzato per la trasformazione.
Per quanto riguarda i formaggi da latte ovino diviene automatico pensare al formaggio del pastore, pensiero che riconduce alle greggi, presenti in ogni luogo della pianura e della montagna.
È il popolo animale transumante che da vita e vivacizza le nostre terre fonte di ispirazione dei più grandi poeti, sia nella letteratura antica sia in quella moderna, come Giacomo Leopardi, “Odi greggi belar,”… nel Passero solitario, o nelle strofe di una poesia di Ettore Bogno, dal titolo È nato Gesù, “Il gregge stanco ansando riposava sotto le stelle nella notte fonda. Dormivano i pastori.”
Sono molti anche gli aforismi che inducono a pensare ad alcuni aspetti filosofici e sociali della condizione umana. Arthur Schopenhauer, riferendosi ai giudici, ai governanti, condottieri, funzionari, preti, medici, e ad altre figure sociali, afferma che “Il grande gregge del genere umano ha sempre e dovunque necessariamente bisogno di capi, guide e consiglieri,…”
Valori intellettuali che naturalmente non hanno nulla a che fare con il formaggio, ma, guarda caso si riferiscono, e a volte inneggiano, ai territori delle pecore vaganti.
Interessante diventa anche l’aspetto religioso, ho già scritto della presenza dei pastori alla grotta di Betlemme, per il significato etimologico della Pesach, detta anche Pasqua ebraica, ovvero transumanza. Transumanza, esodo, che vide le genti del popolo ebraico, con le proprie greggi, uscire dall’Egitto da uomini liberi.
Il passo che porta le greggi ai pascoli stanziali di pianura è breve ma non lo è quello che porterà le pecore, nei prossimi mesi, ai territori più impegnativi della montagna, dove solo i piccoli animali posso transitare senza grandi difficoltà.
Continua a leggere l’articolo di Michele Grassi sul n. 21 del Magazine Con i piedi per terra a pagina 36