Il regolamento (CE) n. 1257/1999 (qualità alimentare) stabilisce anche le norme inerenti il latte di alta qualità. Tale regolamento in particolare all’articolo 24 bis, si legge;  Il sostegno ai metodi di produzione agricola intesi a migliorare la qualità dei prodotti agricoli e a promuoverli contribuisce alla realizzazione dei seguenti obiettivi: tra i quali, assicurare i consumatori della qualità del prodotto o del processo produttivo impiegato mediante la partecipazione degli agricoltori ai sistemi qualità di cui all’art. 24 ter;

A sostegno appunto di quanto determinato dalla normativa vi sono regole che riguardano i sistemi di allevamento e le caratteristiche che il latte deve possedere per essere definito di Alta qualità. Tali caratteristiche comprendono pure i processi di produzione e sono specificati nel decreto 9 maggio 1991, n. 185 relativo proprio all’Alta qualità che recita: Requisiti di composizione ed igienico sanitari del latte crudo destinato alla produzione di latte fresco pastorizzato di alta qualità.

E qui entrano in gioco le caratteristiche dei componenti il latte crudo, ovvero la “quantità” dei grassi, delle proteine, per quanto riguarda la composizione mentre per i requisiti igienico-sanitari, i germi e le cellule somatiche oltre che al contenuto di acido lattico.

Ebbene, se ne evince che il latte di Alta qualità è prodotto da animali munti in ottimo stato di allevamento e di salute.

Non è poco certo, ma il consumatore quando acquista il latte di Alta qualità cosa si aspetta davvero?

Il consumatore non sa che Alta qualità, riferita al latte, è sinonimo di qualità produttiva e quindi si aspetta esclusivamente un latte dalle ottime caratteristiche organolettiche, ovvero caratteristiche che fanno del latte un prodotto apprezzabile dal giudizio sensoriale di chi lo consuma.

Se nel banco frigorifero del supermercato il cliente deve scegliere tra le diverse bottiglie esposte di diverse aziende produttrici, così come tanti altri prodotti caseari che riportano comunque la dicitura Alta qualità, ne aumenta la capacità critica a vantaggio appunto del prodotto così etichettato.

In poche parole il consumatore si aspetta un latte o un latticino più buono.

E’ proprio così? Il Latte di Alta qualità è più buono di quello nel quale non vi è alcun riferimento qualitativo?

Certo dal punto di vista igienico sanitario lo è, ovvero il contenuto di cellule somatiche, che indicano per l’allevatore e per chi effettua le verifiche sanitarie all’allevamento, la buona salute degli animali, è un sicuro indice di qualità, intesa come detto tante volte, l’igiene del latte.

Ma se dovessimo confrontare il latte di Alta qualità con un latte non etichettato o un latte etichettato ma proveniente da produzione non di alta qualità, saremo in gradi di distinguerli?

No, certo che no.

Ed è anche certo che il latte di Alta qualità alimentare non è sinonimo di latte buono da bere.

Spesso i grandi allevamenti utilizzano alimenti per gli animali che non consentono al latte di essere buono, se non dal punto di vista sanitario, mentre altri possono distinguersi, a parità di condizioni igienico sanitarie, per un’alimentazione animali di primo livello.

Erba fieno, cereali inseriti nelle dieta equilibrata e non appesantita da insilati o mangimi, sono gli ingredienti che possono fare la differenza. Assaggiare, bere un buon latte significa non solo scegliere un latta di Alta qualità ma pure conoscere da dove proviene quel latte.

E così, un latte non dichiarato di Alta qualità può essere più “buono” di quello  rispettoso del decreto 9 maggio 1991, n. 185.

Insomma il consumatore tutto ciò non lo sa o peggio, non è nelle condizioni di porsi il problema, visto che per Alta qualità intende solo quella organolettica.

Ma di fronte a tanti prodotti caseari etichettati come derivati da latte di Alta qualità, come ci si deve comportare?

Alcune aziende, le più grandi, distinguono il prodotto “normale” da quello di Alta qualità con alcune avvertenze ben visibili negli espositori dei negozi. A volte le più vedibili distinguono i vari prodotti tramite involucri di colore diverso. E quindi il latte e i latticini “normali” sono per esempio confezionati in giallo e quelli di Alta qualità magari in blu. E’ un sistema che il consumatore, una volta capito il gioco, accetta e apprezza.

Quale latte utilizzare allora?

Se si considera che per ottenere le caratteristiche richieste dalle normative vi è un grande lavoro degli allevatori, si, certo, è un bene e anche un dovere consumare latte di Alta qualità, perché se le vendite vanno a deprezzare il latte “normale”, l’allevatore che non caratterizza il proprio latte ne è però stimolato.

Se invece si vuole utilizzare un latte di pregio, un latte che può soddisfare il gusto personale allora bisogna fare scelte diverse, leggere bene le etichette, vedere se sono dichiarate le origini, i sistemi di allevamento, i sistemi di alimentazione delle bovine e quant’altro possa farci capire la giusta provenienza del prodotto. E anche qui capita che alcune aziende preferiscono produrre latticini da latte di Alta qualità ed etichettarli come italiani, ovvero provenienti dalla nostra Penisola e magari esportare latticini da latte “normale”

E non vi è trucco perché le normative che regolamentano la filiera sono severe e se un latte o un formaggio sono prodotti e trasformati in Italia, dobbiamo davvero crederci.

Prediligere aziende locali che raccolgono il latte nelle stalle di nostra conoscenza e che trattano decorosamente gli animali e che li alimentano con fieno o magari erba verde del pascolo è utilissimo per la selezione di un prodotto,  e ci permette di bere un latte, sano e buono, a volte eccellente.

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