Forse è una bizzarra opinione, forse è una fissazione, ma è la verità, il formaggio a latte crudo ha caratteristiche del tutto diverse da quello a latte pastorizzato o semplicemente termizzato. Vediamo di fare alcune considerazioni.

Quando parliamo di crudo parliamo innanzitutto di formaggi prevalentemente italiani e al più di alcuni paesi europei, perché in altri continenti, crudo, è un termine che non identifica nulla, non è neppure pensabile che il formaggio possa essere fatto con latte appena munto, privo di risanamento.

In effetti il latte appena munto è immediatamente contaminato da tutto ciò che lo circonda, da tutto ciò che deriva dalle azioni del mungitore, o di colui che si occupa del suo eventuale trasporto della sua refrigerazione e della sua trasformazione. Di conseguenza il latte assume caratteristiche sempre diverse, vuoi per la stagionalità, per l’ambiente in cui vivono le lattifere e in quello dove vengono munte, vuoi per la situazione igienica dei locali o delle attrezzature in cui viene a passare siano essi ermetici o no.

Il latte crudo della stessa stalla munto in giornate diverse è sempre diverso. E questo è il bello del latte crudo. Oggi le scuole di pensiero sono molte ma quelle che portano in evidenza la lavorazione del latte crudo sono davvero poche, perché? Perché è più facile innestare il latte pastorizzato e guidare le fermentazioni, perché è più sicuro lavorare il latte che proviene da diverse stalle sulla quali non è possibile intervenire per un miglioramento qualitativo. Anche perché non vi è la volontà del caseificio di “obbligare” l’allevatore a produrre un vero latte da formaggio.

Comodo è sempre stato mirare alla quantità prodotta dalla vacca o da altre lattifere per poter sostenere meglio l’attività, ovvio che una vacca da 50 litri di latte al giorno compete abbondantemente con una che ne produce 20 o meno. Ma non compete assolutamente in funzione qualitativa del latte. Certo è che per fare qualità del latte e per poter, con sicurezza e qualità, lavorare latte crudo è indispensabile fare una scelta aziendale che comporta naturalmente un bilancio economico diverso da quello determinato dalla duplica o triplica della quantità del latte.

È anche vero che la mentalità italiana dell’allevatore è quella di vendere latte, sono ancora poche le aziende, soprattutto le grandi, che lavorano al solo scopo di produrre latte da formaggio. Insisto sempre su questo fattore, il latte da formaggio non è un latte “normale”. Da questo prodotto, anormale nel senso che chi lo produce ne conosce le potenzialità, e sono pochi, si può pensare alla lavorazione a crudo.

Naturalmente il latte crudo non deve possedere caratteristiche solo qualitative dal punto di vista del contenuto fisico-chimico, che è caratterizzato dalla salute dell’animale e dalla sua alimentazione ma dev’essere batteriologicamente sano e competitivo, ovvero i  batteri presenti filo caseari devono poter contrastare l’azione dei confratelli anti caseari.

Il latte crudo in tutti i casi contiene batteri utili e batteri che devono essere contrastati affinché non prendano il sopravvento e perché ciò non accada è utile, anzi indispensabile, inoculare nel latte un buon innesto, naturale naturalmente. Un buon innesto sia esso derivato dal latte o dal siero è capace di dare contrasto e di far assumere al formaggio che ne consegue caratteristiche sicuramente qualitative e autoctone. Lavorare latte crudo non è solo in funzione delle sue caratteristiche intrinseche, ma anche dalla capacità del casari di “capire” il latte in suo possesso, per ciò è necessaria preparazione e buona attitudine per comprendere i risvolti determinati dalle fermentazioni causate dai batteri naturalmente presenti nel latte, quelli originari.

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