Se l’agricoltura mostra evidenti segni di crisi così come l’allevamento estensivo, a causa del ribasso continuo e costante dei prezzi, del latte soprattutto, è anche vero che stanno avvenendo fatti strettamente legati alla produzione di latte aziendale che portano molti giovani alla campagna o, meglio, alla montagna. Giovani appassionati della natura, amanti degli animali che vogliono vivere liberamente all’aria aperta e iniziare la vita di allevatori di lattifere.

Il territorio italiano si presta moltissimo per queste belle iniziative e sono anche molte le occasioni che si possono trovare sugli Appennini, occasioni che riguardano gli spazi adepti a questo tipo di attività. Naturalmente incominciare ad allevare comporta una predisposizione naturale del giovane verso questo nobile lavoro ma anche tanta preparazione, conoscenza della materia che non può ridursi al solo affetto per gli animali allevati. D’altra parte oggi vediamo questo tipo d’iniziative spesso dettate dalla passione, che non vanno di pari passo con la preparazione e la professionalità.

E di professionalità ne abbiamo davvero bisogno non solo per curare animali e per ottenere da loro latte di qualità ma anche e soprattutto per poi, in seguito, lavorare in caseificio.

Il mestiere di casaro non si può e non si deve improvvisare. Non è più come un tempo quando il padre o il nonno lasciavano alle future generazioni i modi di fare, i metodi tradizionali e le usanze popolari, oggi il casaro deve necessariamente conoscere di più, deve poter lavorare in consapevolezza durante tutte le fasi della trasformazione.

Ma come fare per possedere conoscenza e professionalità?

Vengo interpellato spesso per dare suggerimenti, consigli su come provvedere alla formazione e altrettanto spesso vedo che il giovane, ancora acerbo in caseificio, decida di imparare a fare il formaggio partecipando solo a stage o frequentando, per un periodo del tutto variabile, un caseificio o più caseifici.

Questo è un metodo per vedere come si fa un formaggio, assistere alle varie fasi, dalla pastorizzazione eventuale, fino alla sempre eventuale stufatura. Queste esperienze, fatte anche con casari di lunga professione, possono portare a realizzare i formaggi più volte provati durante lo stage, ma poi, nel proprio laboratorio quali saranno i risultati?

Imparare a fare il formaggio non è arte semplice, significa in primo luogo possedere la conoscenza della materia prima, quella che si deve lavorare, non quella che si è visto lavorare, e soprattutto è necessario conoscere ciò che avviene durante la trasformazione per poter anche modificare le fasi, in ogni momento, allo scopo di ottenere un buon formaggio.

Mi è capitato spesso d’incontrare giovani “casari” che per imparare a fare un certo tipo di formaggio si sono rivolti ad altri casari, i quali si sono limitati a insegnare loro la messa in pratica di una “ricetta” casearia.

Sono capaci tutti di assolvere un compito, se schematizzato da una procedura magari semplice, ma non tutti sono capaci di comprendere ciò che avviene durante la trasformazione del latte in formaggio e di risolvere anche le problematiche connesse.

Una giovane mi dice di aver imparato a fare il determinato formaggio da un bravissimo casaro che «però sa» mi dice «non mi ha svelato i suoi segreti».

Segreti quindi, quelli di Pulcinella, come si vuol dire.

E così, per molti giovani e anche non giovani, imparare significa guardare. Ma dietro la trasformazione casearia c’è ben altro, la conoscenza che non si può limitare alla tecnica perché la messa in pratica di una tecnica dev’essere la conseguenza del sapere, che sta a monte di tutto, soprattutto in caseificazione dove si lavora una materia prima difficile, complicatissima, sempre diversa.

Una buona conoscenza del latte, delle sue caratteristiche chimiche, fisiche, batteriologiche, e naturalmente delle varie implicazioni che tali caratteristiche portano nel prodotto da lavorare, porta il casaro a comprendere gli aspetti più nascosti della trasformazione e al conseguente comportamento. Il casaro deve poter comprendere gli errori o evitarli, deve correggere le anomalie.

Mai, casari inconsapevoli, riusciranno a capire i difetti dei formaggi e tanto meno ad evitare che si presentino. La ripetizione della ricetta appresa, magari visualizzata molte volte, non è la soluzione e non insegna nulla, se non a mettere in pratica schemi tecnologici che non servono a completare la preparazione del casaro.

In primis quindi una profonda preparazione scientifica, teorica e tecnologica, consente al giovane di affrontare al meglio lo stage o l’esperienza in azienda, consapevole che ciò che osserva è il frutto o la conseguenza di comportamenti chimici e microbiologici che avvengono, sempre motivati, innescati dalle azioni del casaro che utilizzando tecniche, macchinari, coadiuvanti, riesce a guidare il latte a diventare formaggio.

Il giovane non può guidare, senza la conoscenza dei cartelli stradali metterebbe in pericolo sé stesso e gli altri.

Il casaro deve seguire questa banalissima logica, imparare per fare, imparare per non commettere errori o meglio imparare per risolvere a monte gli errori che nell’arte casearia possono essere evitati.

Il buono e serio professionista, perché questo dev’essere il casaro, si costruisce con la preparazione teorica e pratica, che gli consentirà di fare il suo buon formaggio.

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