In occasione del concorso letterario nazionale “Il formaggio (e non solo) incontrato durante le vacanze estive” promosso da Onaf, Luca Grassi si è classificato, rappresentando appieno lo spirito del concorso stesso, al terzo posto. Evidentemente l’amore per la montagna e per il formaggio hanno scaturito il Luca l’ispirazione per raccontarci di una giornata in malga. Pubblichiamo per intero il racconto:

Il formaggio (e non solo) “incontrato” durante le vacanze estive.

INTRODUZIONE

Il latte. Bianco, profumato, liquido. Si trasforma.
Mi trovo oramai da anni ad inseguire una passione senza dubbio radicata nei miei antenati; mangiare cose buone, meglio, gustare prodotti di qualità. Ho scoperto un segreto in questi anni, uno spunto per rilanciare il prodotto genuino, unico e italiano. E’ alla base di una ricetta, ma non è la ricetta. È il terreno dove si coltiva un prodotto, non è il prodotto. Parlo di ogni singolo e minuscolo componente che creerà quel prodotto.

RACCONTO

È la storia di un casaro, che con la sua passione, è riuscito ancora una volta a dimostrare il suo amore verso la sua famiglia. Nasce e cresce in pianura, ama la montagna, è appassionato di bevande e cibi buoni. Ha avuto degli antenati attenti in cucina e sempre desiderosi di mangiare bene. Ricordo la nonna Argia già pronta in cucina alle 5 di mattina per preparare il soffritto…
Lui sa fare un buon soffritto per ogni occasione, crea dei buoni risotti, prepara anatre al forno ricoperte di creta. Ha dei segreti nel fare biscotti, si propone migliorie ogni volta che assaggia i suoi capolavori. È anche macellaio. Sa selezionare i pezzi migliori dei maiali, crea insaccati ottimi e salami strepitosi. La sua passione più grande è accendere il forno a legna e sbizzarrirsi nella cottura di pane, patate americane, polli, patate, zucche e dolci. Nel suo giardino cura e protegge gli ulivi, trasformando i frutti in olio. Ha la “madre” di suo padre per far l’aceto.
Tutto questo è per la sua famiglia. Dice ai suoi figli: ”quello che noi siamo è quello che mangiamo!”.
Ebbene è anche un casaro, un bravo casaro.
Quest’estate l’ho incontrato. In montagna.
Dovete immaginarvi un uomo alto, magro nelle gambe e nelle braccia, ma con una leggera sporgenza all’altezza della pancia. Pochi capelli e folti baffi neri.
Si, ho incontrato quest’uomo. Ho incontrato i suoi formaggi.
Io penso che questo lavoro di casaro abbia alle spalle serie motivazioni affinché venga svolto con serietà e determinazione. Le cose oggi si fanno per guadagnare, oppure per essere famosi, per avere delle ricompense oppure per soddisfazione. Una soddisfazione personale; una soddisfazione nel vedere e sapere che la tua famiglia apprezza l’impegno e condivide il sano principio del fare del ben per gli altri. Fare formaggio buono è fare del bene per gli altri. Perché non è il formaggio che lega l’uomo ad altri uomini, ma il pensiero che quel formaggio è per l’uomo. Si potrebbe dire questo per qualsiasi prodotto fatto o creato. Allora nelle etichette non servirebbero più gli ingredienti, ma basterebbe scriverci: “Fatto con Amore”. Io ho incontrato un formaggio fatto con amore.
Ho incontrato il formaggio e il suo casaro.
Siamo andati alle 8:00 alla stalla. Un cane riposava davanti alla porta e senza scomodarsi ci ha lasciato passare. Tenevo in mano la mia reflex, pronto ad immortalare i fatti più interessanti. Conobbi il malgaro. Aveva grosse mani lisce, grosse e forti. L’ho capito dalla stretta di mano. Dopo un breve saluto, fra il suono delle campane e il rumore di una qualche pompa che mandava litri e litri di latte dentro una piccola botte di vetro, il casaro fece alcune annotazioni su figli di carta, misurò la quantità del latte e finito la procedura standard di “raccolta latte” si accordò per alcune fiorentine. Ripartì. Il viaggio se pur breve verso la malga o meglio verso il caseificio, mi fece pensare. Non ci fu dialogo se non un saluto dalla montagna di un pastore; capì che il casaro stava riflettendo. Pensava a quale strategia usare per creare il suo formaggio. Ho imparato (leggendo qualche libro) che il latte è in continuo mutamento. Ogni giorno nasconde cose non trovabili il giorno prima. Esso è fatto dei fiori, dell’erba e dell’aria e del’acqua che quella mucca, anzi quel branco di mucche, proprio quel giorno hanno mangiato. La stessa mucca dunque, il giorno dopo, produce un late diverso. Bene, siamo nel caseificio. Il casaro travasa il latte dentro una grande pentola di rame, e gira e rigira alcune valvole, il latte si scalda ad una temperatura ben precisa. Mi accorgo di questo perché tante sono le sbirciate al vecchio orologio a parete, ma anche a quel grosso termometro legato alla pentola che affiora dal latte. Dopo un tempo stabilito dunque calcolato e di riposo, vedo aggiungere un liquido, il caglio. E il latte prende forma. Una forma precisa, rotonda come il recipiente che la contiene. Poi questa forma regolare, liscia, colorata, armonica, viene distrutta con maestria e precisione dal nostro omino alto, magro e dai baffi neri. Improvvisamente (per il semplice fatto che non te l’ho aspetti) avverti un disordine, un caso, una rottura che sembra, a prima vista, una cosa facile che tutti possono fare, ma la realtà è un’altra; occorre che i “granellini” siano di una misura e non di un’altra e che il chicco risultante abbia un certo grado di asciuttezza. Questo dipende dal formaggio. Poi questa massa bianca o meglio pasta rugosa, che appare bianca in contrasto con il liquido della pentola, sparisce. Solo vapore. Liquido giallo fumante. E il formaggio? Dov’è? Chi l’ha rubato direbbe un bambino. “Niente paura” risponderebbe una madre al suo piccolo, “Fidati del casaro.” Inclinata leggermente la pentola e immerse le braccia tra il liquido giallastro, ecco affiorare quello che sembra essere un grosso sasso, molle, sgocciolante che tagliato in pezzi pressoché omogenei si ritrova stretto fra una specie di tortiera senza fondo. Senza fondo solido, ma avvolto da uno straccio che lo lascia ancora sgocciolare.
Vidi infine mettere quelle grosse forme a fare il bagno, in acqua salata, come noi facciamo quando siamo al mare. E infine, un momento delicato, si fanno riposare sopra un asse di legno, in un posto con la giusta umidità e temperatura.
Nasce e cresce il formaggio. La forma.
Ebbene quel formaggio che ho incontrato quel giorno era il Monte Veronese. E ho incontrato chi quel formaggio l’ha creato. È stato più che un incontro, quasi un’esperienza. L’ho visto nascere e ho imparato quanto amore serve per fare qualcosa di buono. Vi ricordate il motivo del casaro, di questo casaro, che l’ha spinto a lasciare la sua famiglia per dei mesi interi e dedicarsi a questo antico mestiere? Ebbene adesso anche voi l’avete capito.
Ama e amerà le cose buone, e soprattutto la sua famiglia.
Grazie papà.
Luca

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