E’ tempo di malghe, ovvero dovrebbe esserlo, per lo meno è tempo di preparazione di inizio dei lavori per la prossima e vicina monticazione. La neve è ancora presente, non solo, ma continua a fioccare abbondantemente. Vero è che il sole la cuoce e nei versanti esposti si scioglie rapidamente. Rimane nel versante all’ombra soprattutto nelle forre nei canaloni dove raggiunge ancora metri di spessore.
Ma l’allevatore esperto sa che basta poco perché il manto bianco se ne vada e lasci il posto prima a prati e pascoli gialli, consumati dal freddo e rapidamente poi al verde brillante dell’erba in crescita, rinnovata e buona per gli animali che vi pascoleranno.
E’ quindi il momento di fare riflessioni, per lo meno per quei malgari che hanno intenzioni serie, non che altri non le abbiano, ma serie nel senso della consapevolezza di poter offrire ai loro clienti prodotti buoni e sani. Parlo naturalmente del formaggio, principe del pascolo.
Si, perché oggi fare formaggio in malga non è più come una volta, quando il malgaro era più allevatore che esperto di formaggio, oggi è necessaria quella consapevolezza che parte dalla conoscenza profonda del latte e dei coadiuvanti tecnologici.
Troppo spesso vedo in malga operare in modo poco attento, inconsapevole non solo di ciò che accade in caldaia ma anche nelle prime fasi della filiera come per esempio le metodologie di mungitura. Vero è che tutto parte dalle azioni manuali dell’uomo pastore, malgaro, azioni che determinano la buona riuscita del formaggio.
Tralascio di esprimermi sulla qualità del formaggio, qui il discorso diventa complesso, molto complesso e complicato, mi soffermo invece su alcuni parametri tecnologici che possono davvero fare la differenza non solo qualitativa ma sanitaria, parametri che implicano alcune specifiche conoscenze.
Come già scritto, una buona riflessione può aprire gli occhi a chi non ha ancora affrontato le tematiche delle fermentazioni, mi riferisco non solo ai malgari che fra poco inizieranno a fare formaggio ma anche ai casari che operano in ogni momento nei caseifici italiani. Non entrerò del dettaglio di ciò che avviene nel latte quando vengono inoculati fermenti selezionati o naturali ma semplicemente considererò alcuni effetti determinanti, conseguenti all’inoculo, sul formaggio, oggi tanto ricercato dal consumatore che è sempre più attento al prodotto naturale e autoctono.
Una ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con l’Università di Padova e i servizi veterinari dell’ASL di Trento, pubblicata sul Italian Journal of Food Safety 2018; volume 7:6967, ha affrontato in modo scientifico la problematica dell’innesto di fermenti naturali, quali il lattoinnesto e il sieroinnesto dimostrando che tali colture autoctone migliorano le caratteristiche microbiologiche e di conseguenza igieniche del latte, soprattutto in presenza di batteri patogeni come la Listeria monocytogenes, o microrganismi contaminanti come i coliformi e stafilococchi.
Per la ricerca è stato utilizzato il latte prelevato da quattro malghe del Trentino ed effettuata la trasformazione in formaggio con la stessa tecnica eseguita in alpeggio. Per le fermentazioni sono stati utilizzati diversi metodi, in un primo test il latte è stato lavorato senza alcun innesto mentre altri con fermenti selezionati e fermenti naturali, proprio come avviene in alcune malghe.
Mi soffermo naturalmente sul risultato più interessante, quello derivante dalla trasformazione del latte inoculato con fermenti naturali e trascrivo direttamente dall’Abstract della ricerca.
“L’uso della coltura naturale del latte ha ridotto la conta di E. coli. Inoltre, il DNA è stato estratto da campioni di formaggio e da Natural Milk Culture e dalla composizione della comunità microbica determinata dal metodo Next Generation Sequencing. La determinazione delle comunità microbiche di formaggio ha dimostrato che l’uso della coltura naturale del latte ha avuto effetti diversi nelle diverse malghe, preservando comunque la biodiversità batterica.”
In anni di attività di ricerca tecnologica ho appurato che la preparazione e l’utilizzo di lattoinnesto non solo consentono quanto la ricerca dello Zooprofilattico veneto ha dimostrato, ma hanno effetti eccezionali in ogni fase della trasformazione. Infatti gli effetti della naturale acidificazione del latte, seguenti all’inoculo di lattoinnesto o sieroinnesto, sono immediati, e danno un’immediata rispondenza del caglio, notevolmente agevolata dall’acidità, con il risultato di una decisa miglioria della cagliata stessa. Tutto ciò si trasmette a tutte la altre fasi della trasformazione, con effetti visibili e palpabili.
Una migliore consistenza della cagliata e un ottimo spurgo primario, sono alcune conseguenze dell’innesto naturale, che il casaro può appurare e che, naturalmente, sono di ottimo auspicio per le successive caratteristiche organolettiche del formaggio.
L’utilizzo di fermenti naturali consente alla carica batterica del latte di duplicare cellule autoctone conservando le caratteristiche microbiologiche originarie del latte, e quindi prevalenti successivamente nel formaggio in maturazione.
Non si può negare che i riflessi di una buona tecnologia sono primari per l’ottenimento di un buon formaggio e se a una tecnica utilizzante fermentazioni naturali, vi si aggiunge un latte derivante da lattifere al pascolo, il risultato finale non può che essere eccellente.
Riflettano quindi gli addetti ai caseifici, alle malghe alle masserie, perché utilizzare le acidificazioni naturali, che venivano utilizzate un tempo, ma con i metodi di oggi supportati da conoscenza della materia e utilizzando le ormai comuni analisi microbiologiche, è una pratica da prendere seriamente in considerazione.