“Le galline la abbiamo nascoste su, verso quella montagna là. Ai Larcs, dove aveva- mo una stalla e un fienile. Là abbiamo nascosto anche qualche formaggio dentro al fieno. Ma un giorno mentre io e mia madre andavamo lassù a vedere e del resto vi si andava tutti i giorni abbiamo visto i tedeschi scendere con le forme di formaggio nel sacco! Ah, io ho patito la fame in quella guerra…”. Documenta così Rosa Colussi Oliva, in “Ultimo anno della prima guerra”, di Camillo Pavan, la ruberia di formaggi che per essere salvati venivano nascosti, celati nel modo che appariva più facile e sicuro, ma che così evidentemente non era.
Meglio è andata in provincia di Treviso, quando, sempre per nascondere i preziosi formaggi dai soldati, questa volta quelli italiani in ritirata dopo Caporetto si decise di nasconderli nelle vinacce. Come è noto l’esercito austriaco fece breccia nella linea italiana il 24 ottobre, proprio nei giorni in cui le fattorie erano impegnate nelle vinificazione. E i contadini piuttosto che vedersi privati di quei preziosi beni, ai quali erano affidate le speranze di sussistenza dell’intera famiglia, preferirono rovinarli nascondendoli sotto ai cumuli degli scarti della lavorazione del vino. Riuscirono a salvarli e allo stesso tempo anche a fare una scoperta, perché aperte le prime forme si accorsero che la crosta si era ammorbidita, aveva assunto un colore rosso amaranto, quasi violaceo, con il sotto crosta lievemente rosato e la pasta bianca, morbida e decisamente profumata. E ancora più stupefacente era l’aroma fruttato e una sensazione di leggera piccantezza.

I due aneddoti riferiti alla Grande Guerra potrebbero lasciare intendere al lettore che la tecnica dell’affina- mento dei formaggi nel fieno e nelle vinacce nasca tra il 1915 e il 1918, in realtà non è così. I due episodi gli ho scelti solo per connotare questa pratica con le regioni settentrionali dell’Italia, toccate appunto dal- la prima guerra mondiale. L’affinamento dei formaggi risale invece a secoli fa, come nel caso del Formag- gio di Fossa di Sogliano, ora Dop, la cui tecnica di infossatura è documentata nei registi dei Malatesta, i signori della Romagna, a partire dal XIV secolo. Probabilmente, però, alla base di queste tecniche c’è lo stesso atteggiamento dei contadini della Grande Guerra, ossia la necessità di nascondere i preziosi formaggi agli occhi di qualcuno: quelli dei soldati, dei malintenzionati (presenti in tutte le epoche) o anche a quelli microscopici dei parassiti. Come nel caso appena citato o come nel caso dell’ubriacatura dei formaggi nelle vinacce allo scopo di proteggere la crosta dagli acari.

Sono formaggi di prima scelta ad essere affinati nelle vinacce, in quanto i difettosi, soprattutto quelli con problemi sulla crosta, immersi nelle vinacce, sarebbero oggetto di insana maturazione

In Friuli e nella parte settentrionale del Veneto il formaggio che viene ubriacato è il Montasio semi stagionato dove si produce il Sot la trape.

Per quanto riguarda il territorio vicentino è scontato identificare il formaggio da affinare con l’Asiago, sia nella tipologia pressato che d’allevo mezzano. Nel veronese si affina nelle vinacce, e a volte anche nel mosto perché pare che inneschi meglio la fermentazione, il Monte Veronese nella tipologia d’allevo mez- zano, mentre in Friuli e nella parte settentrionale del Veneto il formaggio da ubriacare è il Montasio semi stagionato. Il metodo di ubriacatura varia in funzione della tipologia di formaggio, sempre privo di difetti naturalmente, a pasta semicotta, semidura, e anche il periodo di immersione delle vinacce. A grandi linee più il formaggio è giovane meno tempo deve rimanere immerso, ma il formaggio da affinare solitamen- te deve aver subito una stagionatura di almeno 60 giorni. E per quanto riguarda la scelta delle vinacce anche questa di solito è in relazione alle zone di produzione vitivinicola, si passa così con disinvoltura dal Merlot, al Raboso, al Cabernet o il più corposo Ama- rone. Queste devono essere appena svinate o leg- germente torchiate e mantenute a temperatura non superiore ai 20°C. Spesso la tecniche prevede l’ag- giunta di vino o mosto alle vinacce, per mantenere un corretto contenuto di umidità, ma solo per un breve periodo non superiore a 50-60 ore.

L’affinamento nel mosto modifica anche la colorazione delle forme per la maggiore presenza di tannino che ne determina la complessità delle caratteristiche organolettiche. Minore intensità olfattiva e gustativa nel caso si utilizzino vinacce o mosto da uve bian- che come il Durello o il Soave o altri vini aromatici. E questo è proprio il momento della svinatura che nei territori veneti caratterizza e modifica i profumi dell’a- ria. L’odore del mosto, delle fermentazioni, ci invita a pensare alla storia del territorio, alle caratteristiche dei prodotti autunnali, al lavoro del vignaiolo che non finisce con la pigiatura ma continua, in altro e meraviglioso settore dell’agroalimentare, con l’utilizzo di una materia povera che è la buccia dell’uva già privata del buon succo, ma ancora capace di concedere sensazioni diverse, lattiche e vegetali, floreali e fruttate, a formaggi che creano ambiente e diversità al territorio.

Leggi l’articolo originale su Con i piedi per terra a pag. 48

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