La conservazione del latte è da sempre un’azione di grande importanza, che nel tempo ha mutato la sua finalità.
Anticamente l’unico modo di mantenere il latte era quello di trasformarlo in formaggio solitamente a pasta dura, in quanto più durevole e facile da stagionare, utilizzabile soprattutto nel periodo invernale durante il quale gli animali, le pecore e le capre, non venivano munti per lasciare loro il tempo di riprendersi dalle fatiche del pascolo e prepararsi al parto.
Era quindi essenziale preoccuparsi di non sprecare il primario alimento dei mammiferi.
Non tanto lontano dai nostri tempi, basta pensare al vicino IXX secolo, fare formaggio aveva un solo significato, quello di provvedere al fabbisogno famigliare raccogliendo il latte dopo la mungitura e, senza alcun riscaldamento, coagularlo con l’utilizzo di caglio preparato in casa.
Le tecniche utilizzate erano di estrema semplicità, era sufficiente una pentola o un paiolo, spesso di rame, e uno spino di legno ricavato da un pollone di biancospino o di pero selvatico che, anche oggi, cresce diritto alla base dei tronchi, composto da rametti che spuntano in modo alternato. Un attrezzo che la natura dona al casaro per rompere la cagliata.
Il pastore che si occupava di fare formaggio non era a conoscenza di quanto, queste semplici attrezzature, fossero determinanti per le mutazioni che avvenivano al latte durante la trasformazione.
Ma la scarsa, se non nulla, conoscenza delle azioni microbiche, impediva di capire il perché molto spesso i formaggi assumevano difetti, a volte irrimediabili, che forse non erano considerati tali.
Quindi le fermentazioni che s’innescavano nel latte potevano essere utili o dannose alla trasformazione casearia.
Oggi, diversamente, conosciamo a fondo le implicazioni che gli attrezzi di legno possono portare durante la lavorazione e di conseguenza durante la maturazione del formaggio, causate da quella carica batterica originaria che promuove le fermentazioni nel latte.
Non ci è data la possibilità di conoscere la qualità del formaggio ottenuto cent’anni fa, non c’eravamo e, sicuramente il metodo di giudizio era diverso da quello di oggi, che spesso è critico, costruttivo.
Oggi, le differenze tecnologiche rispetto a 100 anni fa, o anche meno, sono molte e sono influenzate dalla consapevolezza delle mutazioni chimiche e fisiche che avvengono nel latte in caldaia, ma soprattutto dalla conoscenza della microbiologia, importante scienza che studia gli esseri viventi microscopici.
Queste attuali cognizioni portano a considerare l’aspetto prioritario nelle trasformazioni alimentari e in particolare in quelle casearie, l’igiene.
Il latte è sensibilissimo alle contaminazioni, sia esse positive, ovvero quelle che consentono corrette fermentazioni, che negative spesso anti casearie e, per fortuna molto raramente, patogene.
Le fermentazioni anti casearie sono quindi le responsabili dei difetti dei formaggi e vanno contrastate per evitare, soprattutto nei formaggi a pasta molle freschi, l’insorgere di patologie.
Tutto ciò non vuole essere allarmistico e non toglie che le normative vigenti consentano di lavorare latte crudo, ovvero quel latte che non subisce risanamento determinato dalla pastorizzazione.
È propio qui il bello della conoscenza moderna, poter lavorare in sicurezza un latte dalle importanti caratteristiche nutrizionali, chimiche, e batteriologiche, proprio come si faceva tanti anni fa.
Lavorare latte crudo oggi non è più un’azione affidata al caso, i controlli igienico-sanitari degli organismi di controllo consentono al pastore come al casaro artigianale o industriale, di trasformare la materia prima in formaggi dal sicuro risultato, sia organolettico sia sanitario.
Sono tante le mutazioni tecnologiche avvenute negli ultimi anni, e sono sicuramente di grande importanza anche se spesso hanno portato all’abbandono delle tecniche antiche per quelle moderne soprattutto nelle attrezzature come le caldaie che un tempo erano riscaldate dal fuoco a legna o come lo spino di legno, oggi di acciaio.
Queste mutazioni hanno determinato un profondo cambiamento delle caratteristiche organolettiche del formaggio, che in molti casi possono essere considerate del tutto migliorative.
Per meglio comprendere quest’aspetto di cambiamento radicale legato alla trasformazione casearia, è bene sapere che la sua fase più importante è quella dell’innesto di batteri lattici nel latte, che è causa principale delle fermentazioni anche successive nel formaggio.
Oggi abbiamo la capacità di operare direttamente in caseificio, con controllate azioni, per ottenere starter naturali come il lattoinnesto o il sieroinnesto, agenti microbici autoctoni, che emulano la carica batterica intrisa nello spino di legno, capaci di concedere fermentazioni utili e di conseguenza risultati positivi.
Da tutto ciò si evince che le tecniche tradizionali antiche possono essere ancora attuate se il latte utilizzato detiene caratteristiche chimiche e batteriche di elevata qualità, magari con l’utilizzo d’innesti naturali e naturalmente con la capacità del casaro di guidare correttamente il processo di trasformazione.
I valori di un tempo, le tradizioni, le tecniche antiche, insieme alla conoscenza che oggi abbiamo sia per ottenere latte di qualità che per trasformarlo, ci portano a considerare che è grande la responsabilità degli attuali operatore del settore caseario, in quanto non solo devono salvaguardare la tipicità dei formaggi tramandataci dai nostri padri, ma lasciare in eredità quelle tecniche che possono migliorare qualitativamente il formaggio, proprio per la consapevolezza di ciò che avviene durante la trasformazione.
Tradizione, tipicità, conoscenza, non possono quindi viaggiare separati, il tempo l’ha dimostrato e proverà che anche lo spino di legno da sempre utilizzato può seguitare a concedere valori positivi ed elevate caratteristiche organolettiche al formaggio che, proprio per questi valori, continuerà a essere espressione della nostra storia.
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