Inizio spesso con le parole del titolo per affrontare tematiche relative alle malghe, al pascolo e al formaggio. Questa volta mi pongo una domanda. Esiste ancora la classica malga? Immagino che molti di coloro che stanno ora leggendo, possano non comprendere questa domanda.

In effetti la malga ha un significato molto profondo in molti sensi. Da quello storico che vede il malgaro gestire le vacche di più allevatori e cogliere il frutto, il latte, per fare i classici prodotti caseari, di alpeggio. Oppure il significato di casera, la casa, la latteria e la stalla in alta montagna. Oppure il luogo del pascolo. A voi decidere quale di questi possa essere il preferito.

A parte queste osservazioni che forse sono logiche, vorrei affrontare un tema particolare.

Le malghe per lo più sono di proprietà pubblica, dei comuni o delle comunità montane, o delle Regole, che in diversi luoghi delle montagne venete rappresentano i paesani che ne sono i proprietari, i regolieri. Malghe quindi che vedono il loro l’affidamento in seguito a un bando che ne esprime le norme di gestione. Tra queste norme ve ne sono due di grande importanza, la prima riguarda gli animali che possono, o meglio, devono essere monticati. Solitamente la popolazione degli animali è richiesta alla pari di 1 UBA per ogni ettaro di pascolo del territorio in affidamento, a volte invece, non si sa per quale “abnorme norma”, 1 UBA per 4 ettari di pascolo. Praticamente viene ad essere ridotta drasticamente la presenza delle vacche o delle pecore, capre, su pascoli alpini.

Chissà perché. Semplice, si dice che diminuendo gli animali al pascolo si favorisce l’allevatore che intende monticare. La verità è che con questo modo di ragionare il pascolo non è mai del tutto “pascolato”. Ridurre le UBA significa quindi abbandonare pascoli e alpeggi che rischiano di scomparire per l’avanzamento del bosco. I profani possono non comprendere questo danno alla montagna, che danno lo è davvero. La montagna senza il pascolo è una montagna deturpata del suo più grande bene, non solo perché l’uomo lo utilizza e ne sfrutta le erbe, ma perché il pascolo è anche prevenzione dei danni che possono essere arrecati dal dissesto geologico.

Il secondo effetto della diminuzione delle vacche al pascolo ha derivazione turistica ed economica. Pur di sfruttare i pascoli, magari già agevolati dall’autorizzazione a diminuire le UBA, molti allevatori non inviano più vacche da latte ma manze e vitelli che non hanno nessuna necessità di essere sorvegliate, accudite e ovviamente munte. Monticate, le manze, sono libere di muoversi per gli alpeggi fino al termine della stagione, in attesa che l’allevatore le ricondurre a valle. Naturalmente questa è una pratica che impedisce all’allevatore di fungere da malgaro e di mantenere le strutture della malga, la stalla, la casera, che ovviamente rimangono chiuse, al visitatore, ovvero al turista, al passeggiatore, all’escursionista.

Quante malghe chiuse per questi motivi e quante anche, magari aperte, dove non si trova latte e di conseguenza formaggio. Questa problematica si avverte anche quando invece che vacche, vengono monticate pecore. In molti alpeggi, a quote  elevate, dove fino a pochi decenni fa si trovavano mandrie importanti, oggi si trovano greggi di pecore. Ciò ha un grande significato. Oggi i pastori che con fatica immane monticano le proprie pecore camminando lungo le strade e i sentieri per raggiungere passi alpini e pascoli anche oltre i 2000 metri sul mare, si trovano a pascolare su alpeggi che da secoli sono la casa delle vacche. Le erbe che prima venivano brucate dai grandi mammiferi oggi vengono selezionate con cura dalle pecore. Si perde il senso del pascolo di alta montagna. Si perde l’economia delle malghe perché le pecore nel periodo estivo non producono latte che di conseguenza non viene trasformato in formaggio.

Ma non solo.

Quando gli animali non sono sufficienti per “consumare” l’erba dei pascoli, è evidente che buona parte di essi viene abbandonata. L’erba cresce e presto si secca, lasciando uno squallido paesaggio che non giova a chi lo osserva ma non giova pure all’allevatore che, l’anno seguente, troverà erbe infestanti, rovi e quant’altro.

L’abbandono del pascolo ha tante conseguenze negative. Nell’immagine pubblicata nella testata dell’articolo, è evidente un pascolo recintato ma non utilizzato il cui aspetto è orribile, segno distintivo dell’abbandono o della cattiva gestione da parte dell’allevatore.

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