Da: speciale Onaf del ventennale.
di Michele Grassi
Il cacio nei tempi…..
“ I territori di Pomposa e Volano sono a pascolo e selva, e formano la pars dominica, quella parte di territorio in conduzione diretta del monastero…”
Parte da questo straordinario luogo la vita agreste delle nostre campagne.
“Le sue origini affondano nella notte dei tempi e il silenzio che la circonda perdura presso che inviolato fino all’anno 874”,…..Il monastero di S.Maria in Pomposa “….. afferma e rafforza la sua potenza che dall’Isola Pomposiana si espande dapprima alle diocesi vicine, Comacchio, Ravenna, Adria, poi alle più lontane dell’Italia centro settentrionale.”
Darei a questa introduzione storica un aggancio alla delegazione Onaf di Ferrara-Ravenna-Rovigo, consapevole che la nostra breve vita di amatori del formaggio ha profonde radici con la storia del territorio. Già all’epoca pomposiana, il territorio abbaziale era compreso tra le province che ora sono riunite sotto lo stemma dell’Onaf. La storia di questi territori è impregnata di segnali importanti che portano alla storia del formaggio, pur non essendo, ora, zona casearia.
Si pensi che nel territorio, dalla preistoria ai comuni, era bandita la capra in quanto la presenza di boschi impediva l’allevamento di questo animale per i danni che recava alla forestazione.
Era quindi il bovino la principale razza allevata, il bue per i lavori dei campi e le vacche che erano distinte tra quelle da riproduzione e quelle destinate alla produzione di latte ad uso alimentare. “…sol vacche piccole che si tengono per il latte e il cacio” (Pier de Crescenzi 1305 circa). Luoghi quindi vocati alla produzione di formaggi dei quali non rimane traccia di tipicità, manca il cacio tipico ad eccezione di alcuni di cui parlerò in seguito. Non manca mai però il formaggio in tavola e soprattutto il formaggio da inserire in pietanze che sono tipiche e antiche. Le razze da lavoro tipiche di quei tempi, principalmente provenivano dalla Romagna, venivano incrociate con tori di razza pugliese. Il bestiame di antiche razze locali veniva migliorato con l’importazione di bovini da latte dalla Svizzera e dalle Alpi. Quindi le possessioni che possedevano pascoli potevano sfruttare il buon latte per ottenere cacio e ricotta. La nostra storia sull’uso del formaggio diventa interessante nel rinascimento ed in particolare con la cucina Estense.
Proprio a Ferrara un grande salto di qualità alla cucina italiana viene dato da Cristoforo di Messisbugo il quale ha lasciato notevoli indicazioni per la cucina ferrarese. Qui l’uso del formaggio è “imperiale”. “Piglia di farina oncie 4, povine fresche tre o di formaggio fresco libbra una, e di formaggio duro libbra mezza grattato, di formaggio salato oncie tre, e tanto levaturo quanto è mezzo uovo; e pista bene ogni cosa nel mortaio.”
Anche ora nella cucina del nostro territorio il formaggio fa da padrone soprattutto nelle ricette tipiche, quelle di pasta ripiena. Il buon “Artusi” romagnolo, ci ha lasciato un’eredità culinaria unica, unico gastronomo capace di confrontare i nostri formaggi a quelli francesi, con eccellenza a quelli italiani (naturalmente). I formaggi in questo enorme territorio quasi esclusivamente piatto, sono ancora quelli dei tempi passati. Pochi quelli di vacca ad eccezione dello Squaquerone romagnolo, (P.A.T.) del Raveggiolo, (P.A.T. anche e soprattutto di latte ovino) sulle colline della Romagna e naturalmente del pecorino un po’ in tutti i territori anche pianeggianti.
Il pecorino che nasceva sui pascoli appenninici ma che giungeva alle pianure in prossimità della costa adriatica, dove le pecore svernavano e partorivano, all’alba della primavera.

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