In questi giorni di settembre è stato pubblicato il Comunicato Stampa della Presentazione Ufficiale del “WGI Global Report 2020 – A Gastronomic Planet”, il primo rapporto mondiale sulla gastronomia, che fa parte di una trilogia prima, durante e dopo il Covid-19, che riflette lo stato del nostro tempo.

Il World Gastronomy Institute (WGI) lancia il primo ́Global Report` sulla gastronomia, focalizzata come attività interdisciplinare. Un libro con un importante supporto accademico e di ricerca, con decine di articoli di noti esperti, che analizzano la situazione mondiale prima del Covid 19. Tra questi, Michele Grassi  un interessante articolo dal titolo “Importance of raw milk processing“.

Il «WGI Global Report 2020 – A Gastronomic Planet» è un lavoro documentario scritto da esperti dell’agroalimentare provenienti da tutti gli angoli del globo, che compone una visione globale del settore nel mondo. Il libro offre chiavi essenziali sul cibo e sul suo rapporto con le persone. Il contenuto riflette diversi aspetti culturali e tecnici di discipline così diverse e complementari come antropologia, turismo, tecnologia, patrimonio, marketing, istruzione, istituzioni, ospitalità o arti culinarie.

Di seguito la traduzione dall’originale dell’articolo di Michele Grassi

Il latte è l’alimento principale dell’alimentazione dei mammiferi, siano essi umani ma anche di altre specie e, nel caso interessi la trasformazione casearia, di bovini, ovini, vaccini e bufalini.
Si sa che l’uomo ha vissuto, oltre 9000 anni fa, cibandosi di vegetali e di animali cacciati in ogni parte del globo terrestre. In seguito imparò ad allevare alcune specie di animali, prima di tutto pecore e capre, avevano dimensioni decisamente maggiori di quelle attuali, che si lasciavano addomesticare facilmente. Da quel momento l’uomo diventò allevatore e quindi fruitore della carne degli animali allevati e, in seguito alla scoperta della cagliata, anche trasformatore del latte in formaggi.
Certo è che il piccolo pastore, si dice, che portò con se un’otre di latte al pascolo, quando andò per berlo trovò che all’interno dell’otre stessa non vi era più sostanza liquida ma solida, gelatinosa, la cagliata.
Fu la svolta, quella rivoluzione che permise all’uomo di conservare il latte sotto forma di formaggio e di ricavarne un ottimo alimento completo di componenti essenziali per l’alimentazione.
Questa scoperta avvenne in ogni luogo della terra così come in Italia, chissà, forse sui monti o sulle pianure, sta di fatto che senza mezzi di comunicazione, quelli che oggi sono così diffusi, furono davvero tanti i pastori a fruirei di questo miracolo della natura.
E così si iniziò a produrre formaggi, naturalmente a latte crudo, senza alcuna cognizione di ciò che avveniva e avviene al latte, durante la lavorazione, ed in seguito al formaggio.
Oggi dopo un’altra importantissima scoperta, la microbiologia, siamo in grado di comprendere che ogni fase della trasformazione del latte è caratterizzata da azioni chimiche fisiche e naturalmente batteriologiche che fanno del formaggio un alimento vivo, completo, buono.
È vero anche che da ogni razza animale si ottiene latte dalle diversissime caratteristiche dei contenuti, come le proteine, i lipidi, le vitamine e i sali minerali, ma anche e soprattutto di quella vitalità, determinante, causata dall’immancabile presenza di batteri.
Ma è anche vero che la flora batterica presente nel latte dopo la mungitura è determinata da una contaminazione ambientale in funzione del luogo in cui vengono allevate le lattifere.
Mi spiego meglio perché il fattore microbiologico, oltre che a quello salutistico e alimentare degli animali, è determinante per la buona riuscita del formaggio.
L’Italia è facilmente distinguibile sulla carta geografica, per la sua forma a stivale ma soprattutto per la sua centrale posizione nel Mediterraneo entro il quale si insinua e ne comanda la posizione. Le coordinate del paese confermano che in funzione della posizione del territorio l’Italia è fortemente caratterizzata dal clima, nel mondo viene considerato mediterraneo, che risulta freddo nel settore nord, dove le Alpi suddividono la parte peninsulare da quella prettamente europea e continentale, e caldo, spesso arido, nella parte meridionale e nelle isole maggiori. Dai 20° sotto lo 0 ai 30-40° sopra, gli animali vivono in ambienti davvero diversi e sono alimentati da foraggi che, proprio in funzione del clima, sono tanto diversi. Naturalmente queste diversità caratterizzano il latte, evidentemente nelle sue componenti fisiche e chimiche, e nella flora batterica che è determinante per l’ottenimento di prodotto autoctoni.
Con questi presupposti possiamo parlare di latte crudo, ovvero quel latte che non viene sottoposto ad alcun risanamento termico proprio per preservare, nei formaggi in seguito prodotti, le caratteristiche organolettiche più interessanti: Tali caratteristiche non sono altro che la biodiversità rappresentata dal territorio, dal suo clima e dalle tecniche di trasformazione che l’uomo si tramanda di generazione in generazione.
Chi non ha conoscenza del settore caseario italiano, può essere influenzato dal pensiero che utilizzare il latte crudo sia, dal punto di vista igienico, un pericolo per la salute, ma non è così.
In Italia, e proprio per l’usanza di lavorare il latte così come esce dalle mammelle delle lattifere, si sono consolidati negli anni tutte le procedure di analisi che consentono con la massima sicurezza di fare formaggi da latte crudo di ogni razza.
La trasformazione del latte crudo in formaggio è prerogativa principale, ma non unica, dei caseifici che si occupano della produzione di formaggi tipici, tradizionali che in Italia sono davvero tanti.
Si pensi che la storia del Paese ha lasciato in eredità ai pastori e allevatori, delle pianure, delle colline e delle montagne, un numero incredibile di modi di fare formaggio tanto che, presso il Ministero dell’Agricoltura sono depositate le liste regionali che vedono in 487 tipologie diverse di formaggi, per le sole Produzioni agroalimentari tradizionali. Quasi tutte sono tipologie a latte crudo. Non mancano i riconoscimenti europei come la Dop, l’Igp e l’Stg che vedono, nei loro registri la presenza di 53 formaggi.
Le diverse tipologie di formaggi a latte crudo italiani, da Nord a Sud, sono proprio caratterizzate dalla carica batterica del latte crudo originario.
Il casaro, attenendosi alle tecnologie di trasformazione influenza, condiziona e sviluppare i ceppi batterici in funzione delle temperature del latte prima della coagulazione, della cottura della cagliata, e della stufatura che spesso avviene dopo l’estrazione della pasta caseosa dalla caldaia.
I ceppi batterici, lattici, che il casaro va a guidare nella loro invisibile vitalità sono antagonisti all’azione dei batteri anti caseari, ovvero quelli che possono recare difetti al formaggio.
E la morfologia dell’Italia, il suo clima, le proprie caratteristiche ambientali che contribuiscono notevolmente all’ottenimento di latte di alta qualità, grande risorsa alimentare e che va a contribuire alla dieta mediterranea tanto conosciuta ed amata nel mondo.
Ecco allora che i formaggi a latte crudo, spesso frutto della mungitura di animali che pascolano in libertà, non solo di movimento, ma liberi di selezionare foraggio fresco sulle montagne e colline e che, non per meno importanza, per le capacità dell’uomo, del casaro, diventano un alimento capace non solo di piacere ma di portare beneficio biologico e fisico a chi lo degusta, lo mangia, lo vive.

Il libro World Gastronomy Institute si può scaricare in formato pdf e leggere l’articolo di Michele Grassi a pagina 118; World Gastronomy Institute

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