Tutti gli anni in questo periodo mi reco, approfittando anche per fare una camminata in montagna, verso luoghi dedicati all’alpeggio. Salgo, naturalmente a piedi, lungo carraie forestali o sentieri dirigendomi a visitare quelli che fra qualche mese diventeranno sede di malgari o pastori che, con i loro animali, faranno la sosta estiva allo scopo di pascolare e in molti casi di trasformare il latte munto.

Ebbene quest’anno, come prima escursione, approfittando du una sosta lavorativa pomeridiana, sono partito dal passo friulano Rest, con lo scopo di raggiungere la Casera che prende il nome dalla montagna sulle cui pendici risiede. Luoghi isolati dove la natura è lasciata a se stessa e dove, per lo meno in questo periodo, non c’è nessuno, non si incontra anima viva (umana).

michele grassi

Il dislivello da superare è di quasi 500 metri ma la comoda strada bianca, a volte cementata nei tratti più ripidi, inizia subito con discreta ripidità. Non che poi s’addolcisca molto, ma il bello di salire in montagna è proprio quello di salire, superare dislivelli e se possibile anche con un buon passo. In effetti mi preme molto ascendere velocemente, la stagione non è proprio delle migliori, le nuvole corrono alte ma alcune vette sono già coperte da quel velo che pare nebbia di pianura, ma che naturalmente non lo è.

I molti tornanti consentono alla carraia di salire sulla costa della montagna a volte con discreti strapiombi, ma è giusto che sia così. Chi ha costruito la strada sapeva quello che faceva. A 1200 metri di quota si inizia a trovare neve nei tratti d’ombra e poi, salendo, se ne incontra sempre di più. Sessanta metri più in alto la neve si fa più spessa e ricopre il tornante che svolta a destra. Procedo piantando la punta degli scarponi nella neve e mi fermo, anzi mi blocco, perché intravedo un’impronta importante, importante anche per le dimensioni. Non ho dubbi è l’impronta di un orso. Parzialmente inscurita, la neve nell’impronta è compattata dalle recenti piogge, ma non vi sono dubbi su chi l’ha lasciata. Forse, stimo, un paio di giorni prima o forse proprio il giorno precedente visto che ha piovuto. E’ interessante sapere che in quel luogo è passato un plantigrado di rara bellezza e di rara presenza.

Proseguo impaziente di arrivare alla casera. La neve è sempre più spessa e la strada non si nota più. Incontro due grosse slavine la cui neve si è ormai consolidata e le attraverso con cautela ma con passo sicuro. Ormai la salita è compiuta, sono a 1450 metri di quota e, passo dopo passo continuo.

Le impronte di camoscio sono sempre più evidenti così come i loro escrementi. La via aumenta di ripidità ed è ovvio che, visto il fondo nevoso, cammino guardando ciò che devo calpestare. Ma… eccola, ancora l’impronta dell’orso Francesco (ho poi scoperto che il nome che gli è stato dato è quello del Santo), che guarda caso l’anno scorso è stato avvistato, proprio in questi giorni, in Carnia, evidentemente uscito dal letargo.

Questa volta l’impronta è più nitida e in corrispondenza dei solchi lasciati dalle unghie si nota chiaramente la neve ancora smossa. E’ passato da poco tempo, forse in mattinata. La neve non è compatta come nell’orma precedentemente avvistata, è pulita, quasi fresca nei bordi dell’impronta e chiara, davvero chiara. Francesco è da queste parti. Lo si aspetta tutti gli anni in tarda estate ma evidentemente in questi giorni si è fatto una passeggiata sul Rest.

Da li a pochissimi minuti, 50 in tutto, giungo alla casera avvolta nelle nuvole, per ora abbandonata ma in attesa dei pastori e delle pecore che fra circa un mese dovrebbero salire, neve permettendo. Al contrario di oggi, stagione da lupi, o meglio da orsi, nel mese di maggio migliorerà, per dar modo all’erba di crescere e diventare davvero un buon pasto per il gregge.

Salire e discendere dalla Casera Rest è stata una scoperta interessante da tutti i punti di vista ma l’avvistamento delle impronte di Francesco ha reso più vigile la mia attenzione. Chissà, ho pensato, sarebbe un’opportunità straordinaria fotografare oltre ai segni lasciati dai grandi piedi, anche l’animale, che scende o sale sulla montagna con gesti lenti ma potenti.

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