Malghe e formaggi, quanto ho scritto su questi temi a me così cari, ma la scrittura e le parole non bastano a spiegare la vera realtà delle produzioni tradizionali del territorio montano, non bastano perché sia la montagna sia le malghe vanno vissute con partecipazione e la sola visita non appaga l’esperto di montagna e neppure quello di formaggi. Ecco che per vivere la montagna bisogna camminarla, arrampicarla, scenderla e ammirarla con occhio sempre vigile e appassionato, e la malga deve entrare nel cuore delle persone che apprezzano l’attività monticatoria di gente che non solo si occupa degli armenti e del formaggio ma di tutto il territorio a loro affidato.

E così la pulizia dei boschi, dei pascoli e dei ruscelli è affidata al malgaro che esercita i lavori di miglioramento per se e per tutti noi, soprattutto, anche se non ce ne accorgiamo.

E proprio per vivere un po l’alpeggio il mese scorso sono salito a Passo Vezzena, che all’appassionato di formaggio ricorda certamente l’omonimo formaggio che, d’estate, viene prodotto sui pascoli infiniti dell’Altopiano. E di altopiano appunto si parla, perché proprio quello del Vezzena è adiacente a quello di Asiago e così i formaggi che vi nascono sono l’espressione di territori simili, confinanti, e straordinari.

Proprio dal Passo Vezzena sono partito, a piedi naturalmente, per vedere, per capire, per assaggiare e perché no, anche per verificare le criticità che non possono mai mancare in questi ambienti. Avevo programmato le escursioni che mi avrebbero portato a visitare le malghe di questi altipiani, ma la montagna detta le sue condizioni, vuoi per il clima, sempre molto variabile, che per la situazione delle strade e dei sentieri, tanto che alla luce dei fatti già da subito ho modificato i piani prestabiliti. L’Altopiano del Vezzena è a una quota media di 1500 mt. sul mare, è ben servito da strade forestali che lo attraversano di lungo e di largo conducendo il visitatore attraverso boschi, pascoli e naturalmente malghe.

Il primo salto di quota porta in breve alla prima malga che si incontra in direzione sud dal passo, non mi fermo, preferisco iniziare dalla successiva, tanto da questa devo ripassare al ritorno. Durante il percorso incontro molte mandrie composte da vacche di razza diverse, dalla frisona alla pezzata rossa, dalla bruna alla rendena alla grigio alpina. Alcune mandrie invece sono monorazza come quella incontrata dopo due ore di cammino composta da solo rendene, animali neri, bellissimi capaci di arrampicare il pascolo. E il cammino procede, l’altimetro mi indica 1450 metri quando raggiungo Malga Camporosà. Mi fermo, indosso la mascherina, entro nel caseificio dove il malgaro mi saluta cordialmente. Gli chiedo che formaggio ha e mi dice; “dicono che è Asiago, ma non lo è”. Qui siamo in provincia di Vicenza, poche centinaia di metri prima ho sconfinato dal Trentino al Veneto è poi ancora dal Veneto al Trentino e qui di nuovo in Veneto. Capisco l’associazione all’Asiago e non al Vezzena. Dico al casaro che al ritorno acquisterò il suo formaggio, me lo fa assaggiare. Proseguo prima in piano poi salgo in uno slargo del bosco solcato dalle ruote di un mezzo che raccoglie legna, fino alla strada che, incredibilmente asfaltata, conduce alla malga successiva. Continuo in Veneto e la donna, apparsa all’improvviso da non so quale porta della struttura malghiva, mi saluta. Le chiedo se ha formaggio, quello fatto quest’anno, ma mi risponde correttamente che ancora non hanno aperto alcuna forma. Sarà successivamente che, nonstante la richieste esplicita di acquistare formaggio fatti in malga, mi verrà invece venduto un formaggio le cui lattifere non avevano certo ingerito erba fresca. Per fortuna questa non è la regola. Continuo il passo ancora in piano per poi scendere seguendo una traccia nel bosco fino a malga Trugole, chiusa ma in ottime condizioni, le vacche non mancano, sono per lo più manze e vitelli lasciati pascolare giorno e notte e quel giorno circondate da una muro di sassi a secco. Le ore passano, il cammino prosegue fino alla malga dove acquisterò la prima fetta di formaggio, anzi due, quello di appena tre settimane e quello prodotto durante l’alpeggio del 2019. Ma per l’assaggio attendo. I passi mi riconducono in territorio trentino dove altre malghe mi aspettano e dove acquisto i due formaggi che mi sono prefissato di assaggiare, l’alpeggio 2020 e 2019. Il Vezzena è un formaggio che rappresenta il presidio Slow Food locale, il cui disciplinare prevede che debba essere fatto nel periodo dell’alpeggio fregiandolo con la lettera M di malga. Il territorio di origine del Formaggio di Vezzena è compreso nel solo comune di Levico così come da disciplinare approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 40 del 14.09.2011

E’ un formaggio davvero antico, la sua tecnica di produzione prevede la sosta della munta serale affinché il grasso possa, durante la notte, affiorare, salire alla superficie per essere raccolto e trasformato in burro. Il latte, residuo dall’affioramento, viene poi miscelato alla munta calda della mattina e poi trasformato da mani sapienti.

Le caldaie in rame, sono ancora calde quando passo per le altre malghe del mio percorso, alcuni casari stanno facendo la ricotta, altri una seconda produzione, magari non di Vezzena ma di altre tipologie di formaggio. Ho percorso oltre venti chilometri tra le malghe dell’altopiano, ora, all’ombra di un paio di abeti posti in cima a un cocuzzolo, mi accingo all’assaggio. Dispongo i formaggi per epoca, i primi tre fatti alcune settimane prima e gli altri l’anno scorso. Estraggo il coltellino a serramanico dalla busta dello zaino e utilizzando una pietra nera e piatta come tagliere, porziono i formaggi. Mi rilasso, l’odore della caseina all’aria aperta è inebriante, una sorta di ricordo del pascolo fresco nei formaggi giovani, ai quali immagino di abbinare un ben grappolo di uva bianca, mentre per gli stagionati l’ideale sarebbe un vino rosso o una conserva d’uva oppure quello che da noi chiamiamo sugal, mosto di uve rosse cotto, una sorta di budino d’uva.

Ma l’assaggio critico si fa con il formaggio in purezza e in questo frangente di puro c’è anche l’aria e l’acqua del vicino ruscello. Le sensazioni aromatiche percetite dall’assaggio, nell’assoluto silenzio della montagna, sono uniche.

Dopo l’assaggio del primo campione di formaggi è necessaria una pausa. Chiudo gli occhi, la concentrazione è al massimo. Nella tranquillità del pascolo percepisco un debole scampanio dal tono basso, sono vacche lontane, non disturba anzi aiuta a mantenere il rapporto tra il formaggio e la montagna.

E’ un assaggio solitario come dev’essere per percepire al meglio le sensazioni regalate da questi straordinari prodotti della montagna, fatti da mani capaci di imprigionare le erbe e i fiori nel prodotto tipico tradizionale delle valli alpine e prealpine.

Leggi l’articolo originale su Con i piedi per terra a pagina 30

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