Si è concluso il 10 novembre 2019 il concorso nazionale “Raccontate il vostro formaggi del cuore” con la premiazione dei tre racconti selezionati, persso l’Eco Museo delle Acque del Gemonese, a Gemona del Friuli.

Il regolamento del Concorso era ben strutturato e ciò che veniva richiesto dai partecipanti  era connesso e annesso alle tradizioni casearie italiane. Per lo più si poteva raccontare un formaggio del nostro Paese, possibilmente a latte crudo, ma anche delle vicine, a Gemona, Austria e Solvenia.

Il concorso, giunto alla quinta edizione, vuole invogliare gli appassionati scrittori di cucina (food blogger e food writer) a confrontarsi con il formaggio, che entra in numerose ricette sia della tradizione che dell’innovazione. Pochi però si pongono l’obiettivo di conoscere a fondo questo prodotto, spesso su riviste e web si leggono articoli che parlano della bontà del formaggio, delle sue proprietà, della sua duttilità in cucina ma pochi sono gli approfondimenti che valutano il prodotto a tutto tondo.

Da dove arriva e come viene fatto quel tipo di formaggio? Perché è espressione di quel territorio e non di altri? Senza un buon latte si ottiene comunque un buon formaggio? Un buon formaggio ha necessità di additivi e conservanti? Perché i formaggi a latte crudo stanno scomparendo? La salute e il benessere degli animali influisce sulla qualità del formaggio? A queste e ad altre domande il concorso chiede di dare risposta. Gli “appassionati scrittori di cucina” vengono invitati ad andare oltre la ricetta raccontando non solo la preparazione di un piatto a base di formaggio ma anche la storia di quel formaggio, il suo luogo di origine e le persone che ne tramandano la tradizione.

Al concorso hanno aderito da tutta Italia e dalla Slovenia con il racconto del formaggio del cuore e con una ricetta che prevedesse l’uso del formaggio raccontato. Una ricetta della tradizione gastronomica popolare oppure di fantasia, purchè vi fosse l’uso del formaggio descritto.

Alla finale del 10 novembre sono stati convocati gli autori selezionati e premiati, Primo premio formaggio del cuore a Michele Grassi, “per il racconto coinvolgente e partecipato, in straordinaria sintonia con l’originalità della ricetta” . Premio speciale “Daniele Bertossi” a Francesco Linzalone di Matera, “per la capacità di avere attinto ai propri ricordi e di avere elaborato un racconto di cui la ricetta fa parte integrante“. Menzione speciale a Giulia Cestari di San Benedetto del Tronto, “per la semplicità della ricetta che si abbina alla perfezione con la purezza del formaggio“.

Il formaggio del cuore, Malga bellunese

Michele Grassi e malga bellunese

L’aria è fresca, frizzante, sono alla forcella, ben oltre i 2000 metri. Intravedo la meta, laggiù, in lontananza. Uno spazio, soleggiato, contornato dal bosco in parte abbattuto da Vaia l’anno scorso in autunno. Cammino da alcune ore, godo di quei luoghi che i cacciatori percorrevano inseguendo cervi, caprioli e camosci.

Discendo verso la casera, mi aspetta il malgaro, uomo tutto d’un pezzo come lo sono gli uomini della montagna, duri, introversi ma buoni. Sono le 7, lo incontro che sale lentamente col bastone, e le poche vacche. Le fioriture del pascolo sono ancora rigogliose e l’erba è verde come non mai. Le vacche sono affamate, hanno trascorso la notte nella stalletta presso il bosco, dove hanno potuto riposare. Sul pascolo rimarranno fino al tardo pomeriggio, poi torneranno sole, conoscono bene la strada.

L’uomo della malga ha munto presto, anticipando l’uscita degli animali, attendeva me. Un cenno di saluto, poche parole.

Ciao, come va?

Bene, grazie.

Cammino con lui risalendo da dove sono sceso. Le vacche iniziano a mangiare, selezionano le erbe che preferiscono. Il malgaro le osserva e poi ridiscende con me.

Allora come va con i formaggi?

Ben.

Siamo alla malga, il fuoco accanto al paiolo di rame sprizza faville con lievi scoppiettii.

E’ la legna d’abete adirata per il maltrattamento subito dalle fiamme che la ardono con la loro linfa resinosa.

Il latte della sera è nelle bacinelle di rame stagnato, dentro la fontana dove l’acqua mantiene freschezza affinché il grasso giallastro affiori in superficie.

Nel mentre diventiamo un po’ più loquaci, parliamo del formaggio che andremo a fare, il Malga bellunese. Ieri avevamo preparato il lattoinnesto, una coltura batterica naturale ottenibile con la fermentazione del latte appena munto. Si utilizza per innescare le giuste fermentazioni nel latte crudo e nel successivo formaggio.

Il malgaro è serio, attento a queste procedure che appaiono innovative ma che sono tradizionali, antiche. Raccontano la storia anche le attrezzature, lo spino di legno, la rotella per agitare la cagliata, il paiolo di rame e i muri anneriti dal fumo.

Annuso il latte nel paiolo, quello della sera e quello della mattina insieme, odora di cuoio bagnato, proprio come il manto delle vacche inumidito dal breve acquazzone della sera precedente.

Lo agito con garbo. Anche il malgaro, nel maneggiare gli attrezzi, rispetta il latte. Tra noi un cenno di approvazione.

Il malgaro sposta il paiolo sul fuoco lento, con poca fiamma. Alla giusta temperatura del latte aggiunge il lattoinnesto, che fisserà sensazioni organolettiche del tutto autoctone al formaggio. Poi il caglio, e mentre questo svolge il suo ruolo, andiamo nella camera dei formaggi, posti su tavole di abete a maturare. Il Malga bellunese ha forma cilindrica con facce piane e scalzo leggermente convesso, bombato. Osservo le forme, le soppeso, in alcune introduco lo spillo. Lo estraggo. Annuso. Il malgaro osserva, si fida e vuole aprire alcune forme. Ne seleziono due.

Due forme pressoché identiche, la crosta è sottile, abbastanza elastica.

La prima, alla battitura, suona, sono le occhiature che sicuramente troveremo. La seconda è compatta, nessun suono al martelletto.

Due forme rare, stanno scomparendo, solo una malga su 6 fa questo formaggio.

Taglio, assaggiamo.

Le sensazioni sono travolgenti, indescrivibili. La pasta è gialla con poche occhiature, e che odore, che aroma, che sapore! La montagna, tutta, le erbe, i fiori, il pascolo, la terra e le ghiaie della vicina vetta e le sue rocce, l’acqua e l’aria, sono in questa pasta caṡeósa, trasferite dal latte crudo dell’alpe. La solubilità della pasta consente di percepire sensazioni organolettiche equilibrate, complesse, emozionanti.

Non parliamo, occhi bassi, vacui. Siamo paralizzati, increduli che la natura possa regalare momenti speciali come quello che stiamo vivendo.

Possiamo gustare il fiato dell’aria, l’acqua al ruscello, annusare l’odore della resina nel bosco, ma la percezione delle sensazioni complesse di un formaggio, fatto con la natura stessa, è unica.

Il Malga bellunese, quasi estinto. Incapace di riprendere una discussione, tocco la forma, la accarezzo, le sussurro, e il malgaro vede i mie gesti, si emoziona, non lo fa vedere, pensa:

Emozionarsi per una fetta di formaggio, coioni!

Torniamo al paiolo, la cagliata è pronta, con gesti antichi la taglio, la riduco a una moltitudine di grani, come grani di riso. Spostiamo di nuovo il paiolo sul fuoco, scaldo la cagliata fino a che non decido che è sufficientemente cotta. Il malgaro continua ad osservare, critico ma soddisfatto. Estrae lui la pasta con il telo di lino consumato dal tempo e con sapienza pone il fagotto, all’interno delle fascere, in una sorta di pressa, due grossi pesi sulla tavola di legno. Il formaggio ora riposa, sgronda la sua acqua attende la giusta salatura e la maturazione.

Lascio il Malga, frutto della montagna, opera d’arte che lascia interdetti, ammutoliti, emozionati.

E la valle è giù, la raggiungo lentamente.

La ricetta con il malga bellunese

Tagliatelle ai frutti della montagna

Questo modo di fare è subordinato dal possedere un po’ di Malga bellunese PAT, (Produzione Agroalimentare Tradizionale del Veneto). Naturalmente prima bisogna assaggiarlo in purezza, quando è a temperatura ambiente però. Non lasciatelo in frigorifero, consumatelo entro breve tempo.

Le sensazioni organolettiche che esso sprigiona dipendono dal tempo di stagionatura ovvero di maturazione. Ma un Malga di 60-90 giorni è già capace di far sognare il degustatore perché esprime sentori lattici, vegetali floreali del tutto unici.

Il Malga viene utilizzato raramente nei ristoranti o negli agriturismi, compresi quelli in alpe, ma solo nelle malghe che lo producono. E’ anche poco citato, se non per niente, nelle ricette tradizionali, magari abbinato a funghi e polenta ma senza alcun trattamento termico, solo a temperatura ambiente, erché il miglior modo di gustarlo è in purezza, o accompagnato con un pezzo di pane fatto in casa.

Certo anche con un calice di vino, rosso.

Mi piace però, quando vago sulle Dolomiti bellunesi, tra un’arrampicata e un’escursione, sedermi a tavola, spesso da solo, reclamando i frutti di quella bellissima terra. E proprio quando sono in possesso del Malga bellunese, vado nel bosco sperando di raccogliere un porcino, mi basta sia piccolo, non è necessario esagerare. E poi, scendendo dal bosco mi fermo ai primi prati dove è comune trovare il tarassaco o il dente di leone, a raccoglierne un po’ di foglie. C’è chi lo raccoglie nella prima primavera, io lo raccolgo sempre, magari sarà un po’ coriaceo in estate ma gustoso. Bastano, per due portate, 20-25 foglie.

Raccolte le foglie e trovato il piccolo porcino ben sano, non più di 100 grammi, torno in cucina, metto a lavare il tarassaco, lo lascio in ammollo per almeno un’oretta e inizio a preparare ciò che serve.

due padelline piccole, la pentola per l’acqua, 150 grammi di tagliatelle casalinghe di buon spessore, 2 spicchi d’aglio, una noce di burro di malga naturalmente, Olio extravergine di oliva

Come fare? Vi spiego.

Mentre assaggiate in dovuta reverenza il Malga bellunese, prendete le due padelline.

– Nella prima mettete un filo di olio e uno spicchio di aglio, intero con la sua camicia, e quando ne percepirete il profumo aggiungete il tarassaco a foglie intere o anche tagliate in massimo in 3 parti. Lasciate scaldare fino a quando le verdi foglie saranno avvizzite. Aggiungete una presa di sale.

– Nella seconda padellina mettete un filo di olio e la noce di burro, tritate lo spicchio di aglio e riscaldatelo fino a quando emanerà il suo tipico odore, mi raccomando non deve assolutamente dorare. Aggiungete il porcino tagliato a pezzetti spessi almeno 3-4 millimetri. Poi il sale qb. Lasciate scaldare rivoltando un paio di volte senza cuoce troppo, basta che i pezzetti di porcino assumano un po’ di morbidezza.

– Mettete l’acqua a bollire, salate, e cuocete le tagliatelle che, una volta cotte, raccoglierete con l’apposito attrezzo senza scolare con il colino.

La padellina con il porcino è calda, aggiungete le tagliatelle e fate saltare. Dopo due o tre salti, quando le tagliatelle diventano unte, aggiungete il tarassaco e continuate a saltare la padella aggiungendo, se necessario un po’ di acqua di cottura delle tagliatelle.

Si sprigionano immediatamente odori vegetali e di sottobosco, quelli necessari per l’eccellente abbinamento con il Malga bellunese.

Impiattate su piatto fondo pre riscaldato.

Sulla portata scagliate, al momento, il Malga bellunese con il coltello a lama liscia senza seghetta. Mi raccomando è importante che le scaglie non siano omogenee e neppure trasparenti.

Dopo una generosa copertura con il Malga, ricoprite il piatto con un’altro, fondo come il primo, e contate fino a 20. Il formaggio tenderà a scaldarsi, non a fondere, ma assumerà la stessa temperatura delle tagliatelle ben calde.

Fate attenzione a non svenire quando toglierete il piatto di copertura perché i profumi vegetali del tarassaco e muschiati del porcino, insieme al profumo intenso di pascolo del Malga bellunese possono fare tale effetto. La combinazione dei sapori, il dolce del fungo e del formaggio, il leggero amaro del tarassaco determinano un equilibrio di tutto rispetto.

Se volete potete preparare un calice di rosso, possibilmente poco tannico, ma non bevetelo durante la degustazione delle tagliatelle, tenetelo per ultimo lasciando passare alcuni minuti finché il gusto del primo piatto non sia svanito, dopo una lunga persistenza.

Il video della premiazione è pubblicato qui

Gli articoli e le rispettive ricette saranno pubblicate sulla rivista Quanto basta, q.b.

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