Solo la pioggia mi poteva tenere in casa, o meglio in tabià, davanti al computer. Ma l’ho spostato, il computer, l’ho portato sul tavolo in posizione tale da poter vedere fuori dalle due finestre che lambiscono la panca d’angolo. Almeno, oltre la pioggia, vedo i boschi, il Carro e il Curiè, le due montagne che sovrastano Cima Canale in Val Visdende. Poi, se mi sposto sul pianerottolo esterno dove giunge la scala di legno, posso ammirare, oggi oltre le nuvole, il monte Schiaron, le montagne di confine e il Palombino dalla duplice vetta, una italiana e una austriaca. E poi ancora alcune malghe, proprio la, in alto, sugli alpeggi.
Queste, ed altre che andrò a raccontare, sono le caratteristiche proprie della Val Visdende un abbraccio alla natura e un bacio lasciato cadere dal cielo. Certo è che da sempre, o quasi, questa valle è state definita “Tempio di Dio, inno al Creatore”. Si dice che fu San Giovanni Paolo II a porre questa definizione tanto appropriata, ma già molti anni prima della Sua visita in valle, un bel cartello appoggiato alla sponda sinistra del Piave, in prossimità del ponte che da accesso al Canale che sale alla valle, citava tale frase.
Oggi altri cartelli invitano il viandante o il turista a visitare Val Visdende, ma le frasi stampate non rendono merito quanto quella bellissima che ho appena citato.
Ma non è dei cartelli che intendo parlare, ma della Valle, delle sue caratteristiche principali, oltre che a quelle naturali di immensa bellezza. Non voglio neppure discutere del disastro Vaia, che ha colpito, più che in altre zone dolomitiche, gli abeti dal legno pregiatissimo che un tempo vedeva un fiorente commercio con la Serenissima.
Ma del formaggio.
La Val Visdende, che qualche pazzo non tanti decenni fa, voleva allagare per farne un lago artificiale, è descrivibile come un grande bacino (non certo acquoso) piuttosto pianeggiante dal quale dipartono alcuni torrenti e le dolci pendici di montagne che raggiungono quote davvero interessanti, fino a 2600 metri. Il fondo valle è da sempre destinato a pascolo, o in piccole parti a prati che vengo falciati nel periodo estivo, che ospita alcune mandrie capaci di alimentarsi liberamente e incondizionatamente. Infatti è nella normalità che le vacche, prevalentemente di razza Pezzata rossa, si muovano anche in zone diverse dai grandi pascoli, come a Cima Canale, l’accesso principale della valle.
Chi esce dal canale, così si definisce il vallone di accesso alla valle, ed entra in Visdende, troverà spesso decine di vacche che pacificamente dando il benvenuto al visitatore.
Naturalmente le zone maggiormente interessate dai pascoli sono Pra Marino, riconoscibilissima per la sua grande e piatta estensione e per la presenza della bellissima chiesa in legno e sasso, e Pra della Fratta, dove sono presenti due stalle.
Non è proprio possibile descrivere la Val Visdende senza cadere nella retorica e nell’adorazione, per cui, accontentatevi di quello che ho appena scritto, il resto sta a voi verificarlo visitandola.
E’ proprio dai pascoli di fondo valle che inizia l’avventura lattiero casearia degli allevatori sia con proprio caseificio, sia con il conferimento a cooperative locali. Latte d’alpeggio quindi? Si esclusivamente, come quello che le diverse malghe dell’alta valle producono, ma purtroppo non in tutte. Anzi in poche, visto che sono ben 8 nella totalità compresa dal conosciuto giro delle malghe. Non in tutte non significa che non siano attive, anzi, alcune aperte capaci di servire prodotti alimentari tipici o semplicemente aperte per ricoverare bestiame pressoché vacche in asciutta e cavalli. Purtroppo anche in questo territorio straordinario alcune di queste, le malghe, pur essendo dotate di ogni attrezzatura e ambiente idonei alla trasformazione casearia, non la utilizzano e, se avviene comunque la produzione di latte, tale alimento viene portato ai laboratori di trasformazione.
Questo è alquanto raccapricciante, deplorevole, ma non sempre ci si pone nelle condizioni di chi gestisce queste strutture rurali. Ma è d’esempio invece chi sfida le difficoltà e si pone in essere come casaro, o meglio malgaro, producendo con le proprie mani formaggio di malga e buon burro.
D’esempio significa dimostrare che malga non è solo sinonimo di alpeggio e di vacche ma di uomini e donne capaci di vivere isolati in luoghi che incanterebbero anche il più gelido degli esseri umani.
Uomini e donne con il loro bambini, magari piccolissimi, che respirano l’aria rarefatta dei 1900 metri di quota, qui le maghe sono mediamente a queste altezze, e che mungono latti che trasformati lasciano scie odorose percepibili anche da chi ha il raffreddore.
Paste gialle come le zucche, magari solcate da occhiature finissime che lasciano intendere le caratteristiche del latte crudo di alta quota.
Anche qui, in Val Visdende, vige la tradizione, la conoscenza dei pascoli, i migliori per resa e per la capacità di trasferire note organolettiche ai prodotti del caseificio e i meno interessanti, si dice, che possono portare note amare al formaggio.
Ma su questo ne discuterei a fondo.
La natura incontaminata, nonostante la dura prova di Vaia e di diversi danni lasciati da tormente estive e invernali, è il biglietto da visita della Val Visdende, e come in altri luoghi in Italia, ha un profondo riflesso sui suoi prodotti, del sottobosco come i funghi, ma soprattutto su quelli che le mani del casaro riescono a trasformare da un latte munto da animali che si autoalimentano tutto il santo giorno con le erbe di fondo valle e di alta quota.